lunedì 25 luglio 2022

Escapismo: quando la realtà fa paura




Dal sito: www.lucadivenanzio.it


Cos’è l’escapismo? Con questa parola ci si riferisce a una modalità “estrema” di svago la cui finalità consiste nell’estraniarsi dalla realtà, quando quest’ultima è vissuta in modo negativo. Quali sono dunque i comportamenti messi in atto da coloro che soffrono di quella, che soprattutto in tempi recenti, viene considerata a tutti gli effetti una patologia? Iniziamo col dire che nessuno ama soffrire o vivere situazioni stressanti. L’essere umano da sempre, alla ricerca del raggiungimento di uno stato di omeostasi, tende alla fuga quando posto dinanzi a condizioni complesse o a strade particolarmente impervie e difficili da percorrere. Sembrerebbe quindi che la tendenza all’evasione sia frutto dell’evoluzione umana, una caratteristica insita in ognuno di noi e che ci consente di arrivare a un generale benessere psicologico.

E questo è un male? Potrebbe divenirlo, nel momento in cui una corretta e bilanciata predisposizione alla gestione delle emozioni, positive o negative, dovesse lasciar spazio al desiderio di sopprimerle, o allontanarsi da esse utilizzando comportamenti e condotte disfunzionali o dannose. In un mondo che corre sempre più veloce, in cui ci si sente costantemente bombardati da stimoli esterni e compiti da portare a termine nel più breve termine possibile, un numero crescente di persone si rifugia nell’alcol e nelle droghe. Sempre più adolescenti si ritirano in un mondo virtuale fatto di videogames, di vite alternative e di amicizie superficiali, un luogo al riparo da un presente insoddisfacente e da una realtà che, molto spesso, faticano a sostenere.

In generale, il cambiamento dello stile di vita moderno, che si muove in direzione di contesti, ambienti e lavori ogni volta più distanti dalla condizione naturale dell’uomo, ci espone tutti al concreto rischio di allontanarci da una realtà vissuta da molti come sempre più ostile e insostenibile.

Lo stesso fenomeno degli Hikikomori, termine che letteralmente significa “stare in disparte e che identifica quella categoria di persone che hanno deciso, volontariamente, di ritirarsi dalla vita reale sostituendola con quella online, può essere considerato un’estrema manifestazione di escapismo.

Come fare, dunque, per evitare di cadere nella trappola dell’evasione? Per prima cosa, fermarsi un attimo a riprendere fiato, concedersi un momento di pausa dall’estenuante corsa che la società attuale sembra imporre di dover proseguire a tutti i costi. Un sano escapismo, come ascoltare musica, immergersi nella lettura di un libro, immedesimarsi nel mondo fantastico raccontato in un film, non è sbagliato. Aggrapparsi a qualcosa in grado di distogliere per un po’ l’attenzione, in modo sicuro, da una realtà stressante e faticosa, potrebbe anche essere considerata una positiva ancora di salvezza, purché questa venga utilizzata poi per trovare il modo di rigenerarsi e trovarsi ancora più pronti a fronteggiare una realtà che, nelle sue difficoltà quotidiane, merita sempre di essere vissuta appieno con accettazione, in armonia con i propri valori e nella piena consapevolezza.

In collaborazione con Alessandro Bellardi Falconi

https://lucadivenanzio.it/estraniarsi-dalla-realta-es-social-videogame-etc-fa-bene-alla-salute-mentale/

venerdì 17 giugno 2022


La Matrice ACT: Un Valido Strumento Per Favorire La Flessibilità Psicologica



Nell’ambito della psicoterapia contemporanea si guarda con sempre maggiore interesse allo sviluppo di nuovi strumenti terapeutici che siano affidabili, intuitivi e semplici da utilizzare. 

L’uso dell’Hexaflex, il modello che rappresenta graficamente i processi principali del metodo ACT, non sempre si è rivelato di facile attuazione e, nel 2009, lo psicologo Kevin Polk ha pertanto messo a punto un nuovo schema, che prende il nome di “matrice ACT” (20.000 ore di studio!) e che restituisce alla metodologia della stessa Acceptance and Commitment Therapy, da cui deriva, un’immediatezza e una praticità tali da favorirne l’applicabilità e la facile comprensione da parte tanto dei terapeuti quanto dei pazienti.

La matrice è composta da due linee perpendicolari e quattro quadranti e invita a posizionare, all’interno degli stessi, le esperienze e i comportamenti che segnano le tappe della lunga strada percorsa dall’essere umano nel tentativo di raggiungere il traguardo del benessere.
La linea verticale, o linea dell’esperienza, sancisce la differenza tra gli aspetti di cui si fa esperienza per mezzo dei cinque sensi e quelli ai quali ci si approccia attraverso le proprie abilità introspettive e l’attività mentale in generale.

La linea orizzontale, che potremmo definire come linea del comportamento, definisce la separazione tra le azioni che rivestono la funzione di allontanare da esperienze indesiderate, e quelle che hanno invece il compito di avvicinare a qualcuno o qualcosa per l’individuo importante e di valore.

Al centro dell’intersezione tra le 2 linee si colloca, metaforicamente, il soggetto che nota in maniera consapevole i suoi movimenti verso l’una o l’altra direzione.
Nel quadrante in basso a destra verrà domandato al soggetto di scrivere chi o cosa è per lui davvero importante e significativo.

All’interno del quadrante in basso a sinistra si chiederà al paziente di elencare i pensieri, le emozioni e le sensazioni indesiderate che emergono e che lo ostacolano nel muoversi in direzione di chi o cosa è importante per lui.
In quello in alto a sinistra sarà riportata la lista dei comportamenti che gli altri possono notare che il soggetto compie nel muoversi via, allontanandosi, da tali pensieri sgraditi e non desiderati.

Nell’ultimo quadrante, quello in alto a destra, saranno invece elencati i comportamenti e le azioni che gli altri possono vedere che il paziente mette in atto per muoversi verso il suo obiettivo.

In conclusione, la matrice ACT di Kevin Polk costituisce un valido alleato terapeutico, in grado di incentivare nei pazienti la presa di consapevolezza dei comportamenti di evitamento della sofferenza e delle emozioni non gradite e di quelli che invece, al contrario, si muovono verso il raggiungimento di uno stile di vita basato sui valori e sulla significatività individuale. La coscienza di questo favorisce il graduale abbandono dei comportamenti automatici, a volte disadattivi e disfunzionali, restituendo alla persona un grado crescente di libertà di azione e di scelta.

In collaborazione con Alessandro Bellardi Falconi

martedì 8 maggio 2018

INCREDIBILE: Scuola sostituisce la Punizione con la Meditazione!



Cosa accade quando un alunno si comporta male a scuola? Viene messo in punizione, mandato dal preside oppure sospeso.
Ma è davvero utile a migliorare lo stato mentale degli alunni? La punizione consiste spesso nello stare in piedi in un angolo a fissare la parete oppure qualche altra cosa, ma sicuramente non funziona per far riflettere sulla propria condotta, anzi viene considerato qualcosa di stupido e ingiusto.Il Prof. Robert W. Coleman della scuola elementare di Baltimora ha ideato qualcosa di diverso per gli studenti si comportano male: la meditazione.
pastedGraphic.pngInvece di punire i bambini con la punizione o mandandoli all’ufficio del preside, la scuola di Baltimora ha ora una stanza che si chiama chiamato “Mindful Moment Room” ovvero la sala da meditazione.
La stanza non ha niente a che vedere con una sala da punizione. Invece, è piena di lampade, decorazioni e soffici cuscini viola. I bambini che si comportano male sono invitati a sedersi nella stanza e passare attraverso delle pratiche come la respirazione o la meditazione, aiutandoli a calmarsi e centrarsi. Essi sono inoltre invitati a parlare di quello che è successo.La meditazione e la consapevolezza sono piuttosto interessanti, scientificamente.
La meditazione mindfulness è stata in giro in una forma o un altra per migliaia di anni. Recentemente, però, la scienza ha iniziato a studiare i suoi effetti sulla nostra mente e corpo ed i risultati sono stupefacenti.
Uno studio, per esempio, ha dimostrato che la meditazione potrebbe dare ai soldati una sorta di armatura mentale contro le emozioni dirompenti, e migliora anche la memoria. Un altro studio ha suggerito che la meditazione può migliorare la capacità di attenzione e di mettere a fuoco.

Per quanto riguarda il cervello si è osservato che la meditazione mindfulness cambia completamente la struttura del cervello migliorandone notevolmente le prestazioni intellettuali e rigenerando gli eventuali danni (quindi ad esempio chi ha fatto uso di droghe o ha avuto ictus, ecc.). E’ stato osservato anche la meditazione è più efficace degli ansiolitici e che allunga la vita. Questi e molti altri studi già sarebbero sufficienti a far introdurre la meditazione in ogni scuola del mondo.
Ritornando alla scuola di Baltimora, quali sono stati i risultati ottenuti dal prof. Robert W. Coleman? Durante tutto l’anno scolastico nessun alunno è stato sospeso perché nessuno ha più avuto alcun comportamento grave, la condotta generale è migliorata notevolmente, le assenze si sono ridotte, lo stato di benessere degli alunni è aumentato come riportano i genitori e le prestazioni scolastiche sono migliorate!
“E ‘incredibile”, ha detto Kirk Philips, il coordinatore di Robert W. Coleman. “Non si sarebbe potuto pensare che i bambini piccoli potessero meditare in silenzio. E lo fanno!”
“Abbiamo avuto genitori ci dicono, ‘sono tornata a casa l’altro giorno stressata, e mia figlia mi ha detto: ‘Ehi, mamma, hai bisogno di sederti. Ora ti insegno come respirare’.”
Nella stanza di meditazione, tutti gli alunni periodicamente fanno una meditazione collettiva e c’è anche un insegnante di Yoga che gli insegna a migliorare l’elasticità e il benessere della loro muscolatura ed articolazioni. E non manca anche l’attenzione all’ambiente. I bambini aiutano a ripulire parchi locali, costruire giardini e visitare aziende agricole vicine.
Questo non sta accadendo solo in una scuola. Molte scuole stanno cercando questo tipo di pensiero olistico, e sta producendo risultati incredibili.
Nel Regno Unito, per esempio, la meditazione mindfulness nelle scuole è sempre più diffusa. Ci sono molti benefici che la meditazione ci offre e vengono sempre più spesso confermati da studi scientifici. Abbiamo imparato attraverso la ricerca scientifica che la meditazione può alleviare il dolore, migliorare la creatività, alleviare lo stress e stimolare il sistema immunitario.

https://www.dionidream.com
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venerdì 9 marzo 2018

Capire gli abusi da piccoli segni inconsueti




Spesso è una questione di particolari. Di cambiamenti d’umore, di atteggiamenti che prima non si notavano e che invece emergono all’improvviso. Dettagli importanti che possono consentire a un padre e a una madre di capire che il figlio o la figlia stanno vivendo situazioni diverse dal solito. Pericolose, inquietanti, sicuramente pesanti. Carpire quegli istanti non è facile. Serve attenzione. E calma. «Pensiamo a una persona che da essere molto aperta ed espansiva si chiude in un istante, ma anche da che è molto isolata a piena di amici. Può sembrare un fatto positivo, ma a volte non lo è», spiega Giorgia Minotti, direttore tecnico capo psicologo della polizia di Stato, in servizio alla questura di Milano. 
La sua è un’esperienza quotidiana, sul campo, nelle audizioni protette durante le quali i minorenni vengono ascoltati da investigatori e inquirenti: un momento che può essere drammatico, commovente, liberatorio. Decisivo per un’indagine. Come lo è stato per la quindicenne del liceo Massimo che in quella sede ha raccontato gli abusi subiti dal prof di ripetizioni. «In quel momento, da soli, senza genitori accanto, si diventa più grandi – sottolinea la dottoressa Minotti -. Genitori e insegnanti non devono sottovalutare cambiamenti drastici di rendimento scolastico, l’incapacità dei ragazzi a sostenere interrogazioni, disturbi psicosomatici senza una ragione medica». I maschi «sono più superficiali, almeno in apparenza, perché la cultura li vuole meno toccati dalle situazioni, più forti - aggiunge -. Le femmine invece non parlano per vergogna, ma anche perché si auto colpevolizzano per qualcosa che potrebbe aver provocato le avances che hanno subito, di come poi possono essere considerate. I ragazzi difficilmente si confidano fra di loro, le ragazze lo fanno spesso con le amiche che poi si fanno portavoce con i genitori e a scuola».
Già, i genitori. «Quando va tutto bene in casa non è detto che sia così, anzi ragazzi troppo adattati alle regole, che non discutono mai con mamma e papà possono nascondere problematiche che emergono con un brutto voto, una lite con un amico, desideri non esauditi - fa notare l’esperta -. L’ipercontrollo è sbagliato, ma lo è anche pensare di stare al sicuro fornendo ai figli strumenti tecnologici, come il telefonino, che invece limitano la relazione con i genitori», dice ancora la psicologa della polizia per la quale «i ragazzi non si fidano delle capacità dei genitori di difenderli, temono che possano loro stessi rimanere vittime dei bulli o di creare problemi a casa, o ancora del fatto che il padre e la madre possano minimizzare quello che gli è accaduto. Con loro evitare metodi polizieschi, domande tipo «ma tu allora che hai fatto?» o peggio «ma guarda come vai in giro». Ascoltarli senza giudicarli, perché tutto sia spontaneo e al loro livello. Altrimenti «continueranno a pensare di potercela fare da soli«. E non è così

www.corriere.it

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mercoledì 15 novembre 2017

A cosa serve la rabbia?


È l’emozione che ci spinge a compiere gesti rischiosi. Ma anche quella che ci serve per raggiungere ciò che desideriamo. Per esempio nel mondo del lavoro.
Sguardo feroce, denti stretti e labbra serrate. È il volto della rabbia, considerata, in genere, un sentimento estremo e negativo perché ci fa perdere l’autocontrollo: ci fa dire frasi cattive e offensive al partner o al collega di lavoro o, peggio, ci spinge a compiere gesti pericolosi per noi stessi e per chi abbiamo di fronte.
Arrabbiarsi è piuttosto facile: in famiglia, nei luoghi di lavoro, sui mezzi pubblici. Soprattutto nel traffico.
ISTINTO ANIMALE. Come gli altri animali che diventano aggressivi se si sentono in pericolo o competono per difendere il loro territorio, anche noi ci arrabbiamo se ci sentiamo minacciati (ad esempio, nella nostra autostima). Oppure se percepiamo un’ingiustizia o una frustrazione dei nostri bisogni (come quando ci viene negato qualcosa). Ma cosa rende alcuni individui più insofferenti di altri?
«Chi si arrabbia di più tende a interpretare gli eventi come negativi per se stesso. Per esempio, se temo che gli altri mi manchino di rispetto posso leggere un sorriso come segno di irrisione anche se non vi erano intenzioni provocatorie», spiega Paolo Meazzini, direttore della Psicoterapia training school di Roma e autore del libro L’ira di Achille(Giunti).
«Ciò determina un aumento del livello di attivazione psicofisiologica che predispone all’attacco». Alcuni, però, riescono a controllarsi lo stesso. Perché? Dipende dalla gerarchia degli scopi della persona. «Quando c’è un conflitto fra lo scopo della rabbia (per esempio rispondere a una provocazione) e uno scopo sovraordinato (per esempio mantenere un’immagine di sé di persona pacata) ci si contiene», spiega Olimpia Matarazzo, docente di psicologia generale alla Seconda Università degli studi di Napoli e coautrice del libro La regolazione delle emozioni(Il Mulino).
Se non esprimere la rabbia è una priorità, la si prova anche in modo meno dirompente. «Ma la scelta tra gli scopi avviene in genere in modo inconsapevole per lo stesso meccanismo automatico che a volte ci porta a scegliere un piacere immediato, ignorando le sue conseguenze a lungo termine», precisa Matarazzo. Proprio come si cade in preda alla rabbia anche quando razionalmente si sa che si sta facendo la cosa sbagliata. «Significa che lo scopo più alto, cioè evitare svantaggi futuri, non è stato interiorizzato».
UN MUSCOLO DA ALLENARE. I muscoli, per funzionare bene ed essere potenti, vanno allenati. Per l’autocontrollo è lo stesso: si può rinforzare. Baumeister lo ha verificato con diversi esperimenti chiedendo a volontari di modificare il loro comportamento per due settimane. In alcuni studi, si trattava del loro modo di parlare: dovevano esprimersi in maniera corretta ed evitare forme gergali. In altri, il compito era migliorare la propria postura in piedi e da seduti.
Trascorsi i 15 giorni, l’autocontrollo era aumentato su tutta la linea: i partecipanti erano cioè più resistenti alle frustrazioni e alle tentazioni. Questi risultati lasciano supporre che, esercitandosi, il carattere si rinforzi. «Se si dà alle persone aggressive l’opportunità di migliorare il loro autocontrollo, risultano presto meno impulsive», conferma Thomas Denson, psicologo dell’Università del New South Wales (Australia), anche lui coordinatore di esperimenti affini a quelli di Baumeister.
In una delle sue ricerche, infatti, ha chiesto a un campione di studenti di usare solo la mano non dominante per due settimane: «Per muovere il mouse, mescolare il caffè, aprire le porte: ciò richiede autocontrollo perché va contro il proprio istinto», spiega Denson. Poi, si è messa alla prova la loro aggressività: potevano “punire” una persona che li aveva insultati con un’esplosione di rumore decidendo volume e durata del suono. Chi aveva fatto il training della mano fu molto più clemente.
STRESSATI. Tuttavia, anche se si può rinforzare con l’allenamento, l’autocontrollo risente dello stress. Questo perché funziona come una riserva limitata di energia, che si consuma e che deve essere rigenerata. Così, se la nostra forza di volontà è già stata messa alla prova (ad esempio, dopo un periodo di superlavoro per rispettare una scadenza), diventa difficile restare padroni di sé e non resistere a qualche tentazione.
Lo dimostra anche uno studio della Monmouth University (Usa) su persone sentimentalmente impegnate: coloro a cui era stato vietato dagli sperimentatori di mangiare dei biscotti appena sfornati, subito dopo erano più inclini a flirtare via chat con uno sconosciuto. Dover resistere ai dolci aveva indebolito il loro autocontrollo. Quando le proprie risorse sono esaurite si diventa anche più aggressivi. È stato dimostrato che, dopo una giornata pesante, si è più suscettibili alle critiche del partner e più insofferenti ai suoi difetti: mandarsi al diavolo, in questi casi, è un attimo!
NON ESAGERARE. Eppure non si può, e non si deve, rinunciare del tutto alla spontaneità. Le persone fredde e impassibili perdono ogni naturalezza, con conseguenze, anche in questo caso, sulla loro vita sociale: «Se non si inviano segnali di ciò che si prova, non c’è scambio emotivo e le relazioni ne risentono. Diventa più difficile, per esempio, creare legami di amicizia», dice Meazzini. È vero che molto dipende anche dalla propria cultura (si pensi al famoso aplomb inglese e alla proverbiale riservatezza giapponese), ma in generale l’impenetrabilità tiene lontani gli altri.
E allora, nel caso della rabbia, come va gestita? Dipende. Lo psicologo James Averill del-l’Università del Massachusetts (Usa) ne ha individuati tre tipi. La prima è la rabbia “malevola” che esprime disprezzo o desiderio di vendetta; la seconda è di “sfogo”, scarica una tensione, spesso su chi non ha colpa. C’è poi una rabbia “costruttiva”, quella che fa valere le proprie ragioni, comunica coinvolgimento e rafforza le relazioni (per esempio, se è rivolta a un amico gli fa capire che è importante per noi). Ecco, questa forse è la rabbia giusta, per la quale ogni tanto si può anche perdere il controllo.
RABBIA BUONA. C’è anche un’altra rabbia “positiva”, quella che ci aiuta a reagire e a uscire dai guai. È l’emozione che nell’evoluzione ha aiutato i nostri antenati a difendere se stessi e la prole dalle minacce dell’ambiente e che, a differenza della paura, li spingeva all’attacco e non alla fuga.
È anche la stessa rabbia positiva che nella vita di tutti i giorni ci dà l’energia per abbattere l’ostacolo che ci impedisce di realizzare un bisogno o un desiderio: scatta in noi quando ci sentiamo defraudati di qualcosa, o quando non accettiamo un’ingiustizia. Insomma, senza questa “energia rabbiosa” non avremmo la forza necessaria per affermare i nostri valori e far valere i nostri diritti. Anche, per esempio, nel mondo del lavoro.
SI CHIAMA LIGET. Esiste infatti quell’energia rabbiosa che ci fa perdere le staffe, ma che ci spinge a lavorare di più: è una rabbia associata a un senso di ottimismo e di vitalità. Tra gli ilongot, tribù di cacciatori di teste che vivono nelle giungle della Nueva Vizcaya, nelle Filippine, la chiamano liget. Negli anni Ottanta, l’antropologa americana Michelle Rosaldo la portò alla conoscenza dei lettori occidentali. «Se non fosse per il liget – dicevano gli ilongot a Rosaldo – non avremmo una vita e non lavoreremmo mai».
fonte: www.focus.it
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martedì 29 agosto 2017

L'intestino forse la causa dell'ansia..





Ansiosi? La chiave potrebbe stare nei batteri dell'intestino. È stato infatti rilevato un legame tra alcuni regolatori dei geni nel cervello (detti microRNA), che giocano in ruolo chiave nell'ansia e in malattie correlate, e i batteri intestinali. È quanto emerge da uno studio dell'Università di Cork, in Irlanda, pubblicato sulla rivista Microbiome. Gli studiosi hanno preso in esame dei topi, scoprendo che i microRNA cambiavano negli animali liberi da microbi. Questi topi erano tenuti in una bolla libera da germi e mostravano in genere ansia, deficit nella socialità e nella cognizione e comportamenti simili alla depressione. In particolare, le zone più influenzate erano l'amidgala, che gestisce le emozioni, e la corteccia prefrontale, legata fra le altre cose all'espressione della personalità, al prendere delle decisioni. Tutte e due le aree coinvolte sono implicate nello sviluppo di ansia e depressione. "I microbi intestinali sembrano influenzare i microRNA nell'amigdala e nella corteccia prefrontale- spiega Gerard Clarke, tra gli autori dello studio- questo è importante perché possono influenzare processi fisiologici fondamentali per il funzionamento del sistema nervoso centrale e in regioni del cervello (come appunto l'amigdala e la corteccia prefrontale) che sono fortemente implicate nello sviluppo di ansia e depressione.
Per la tua ansia chiama uno Psicologo a Pescara.


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Fonte: www.ansa.it

mercoledì 2 agosto 2017

La dipendenza da Internet





Secondo un recente studio, pubblicato su “Cyberpsychology, Behavior, and Social Networking”, il giocare eccessivo su Internet può portare, nel tempo, a livelli più bassi di Epinefrina e Norepinefrina. 

I risultati, in particolare, forniscono la prova della riduzione della regolazione automatica dello stress e l’aumento dei livelli di Ansia tra gli adolescenti con dipendenza da gioco online.    Dipendenza da gioco online e stress.La dipendenza dal gioco online è definito come l’uso eccessivo o compulsivo dei giochi, che interferisce con la vita quotidiana, che causa la tendenza ad isolarsi dal contesto sociale ed a concentrarsi quasi completamente sulle attività correlate ad esso. Esso sta diventando un serio problema di salute tra i giovani di tutto il mondo, con un numero crescente di adolescenti che vengono considerati a rischio. La ricerca, infatti, ha indicato che un uso eccessivo e ripetitivo del gioco su internet può alterare la struttura del cervello e le funzioni sottostanti specifici processi cognitivi, il che comporta un deficit nel controllo della funzionalità cognitiva, responsabile, a sua volta, di questa tipologia di dipendenza.Inoltre, è stato ipotizzato che la dipendenza da gioco online sia fortemente correlata allo stress, il quale, si sa, innesca diversi cambiamenti fisiologici. Infine, è stato chiarito come questo sia accompagnato, spesso, da altre condizioni associate con lo stress, come Ansia, Depressione, o Disturbo da Deficit dell’Attenzione ed Iperattività (DDAI). 

La risposta allo stress.

Normalmente, una risposta adattativa allo stress aiuta gli individui ad adattarsi agli stimoli interni ed esterni, attivando alcuni sistemi, tra i quali il più importante è quello adrenergico simpatico. Quest’ultimo rilascia le catecolamine, ovvero Dopamina, Norepinefrina ed Epinefrina, le quali regolano l’attività dalle terminazioni nervose simpatiche e dalle ghiandole surrenali. Interruzioni a cavallo di tale rete sono state associate con la dipendenza da gioco online. 

Lo studio ed i risultati. 

Per lo studio, condotto dalla Dott. essa Nahyun Kim della Keimyung University College of Nursing, furono analizzati i campioni di sangue di 230 studenti delle scuole superiori in una città della Corea del Sud, per valutare i livelli di Dopamina, Epinefrina e Norepinefrina.Inoltre, ai partecipanti alla ricerca fu chiesto di rispondere a dei questionari che valutavano la dipendenza da gioco online ed i livelli di ansia.Il fine ultimo era quello di indagare se ci fosse un collegamento tra i livelli di catecolamine nel sangue e quelli d’Ansia e, se così, quale fosse l’influenza sulla possibilità di sviluppare una dipendenza da gioco online e sui livelli di stress.I risultati rivelarono che i livelli di Epinefrina e Norepinefrina erano significativamente più bassi nel gruppo con Dipendenza da gioco su internet, rispetto a quelli del gruppo con soggetti non dipendenti, mentre non c’erano differenze significative tra i gruppi per quel che riguardava i livelli di Dopamina.Inoltre, i livelli di ansia del gruppo con dipendenza erano significativamente più alti quando confrontati con i soggetti non dipendenti, nonostante non ci fosse nessuna relazione tra questa e le catecolamine analizzate.

Considerazioni finali.

I risultati forniscono la prova che il giocare eccessivo su Internet può portare, nel tempo, a livelli più alti di Ansia, ma anche a livelli periferici più bassi di Epinefrina e Norepinefrina, le quali alterano la regolazione automatica dello stress.I ricercatori hanno concluso: “In base a questi effetti fisiologici e psicologici, gli interventi pensati per prevenire e curare la dipendenza da gioco online dovrebbero prevedere di stabilizzare l’Epinefrina, Norepinefrina ed i livelli di Ansia negli adolescenti”, trova la tua strada con uno Psicologo a Pescara.  



Fonte: PsyPost.org             


(Traduzione ed adattamento a cura della Dottoressa Alice Fusella)