È l’emozione che ci spinge a compiere gesti rischiosi. Ma anche quella che ci serve per raggiungere ciò che desideriamo. Per esempio nel mondo del lavoro.
Sguardo feroce, denti stretti e labbra serrate. È il volto della rabbia, considerata, in genere, un sentimento estremo e negativo perché ci fa perdere l’autocontrollo: ci fa dire frasi cattive e offensive al partner o al collega di lavoro o, peggio, ci spinge a compiere gesti pericolosi per noi stessi e per chi abbiamo di fronte.
Arrabbiarsi è piuttosto facile: in famiglia, nei luoghi di lavoro, sui mezzi pubblici. Soprattutto nel traffico.
ISTINTO ANIMALE. Come gli altri animali che diventano aggressivi se si sentono in pericolo o competono per difendere il loro territorio, anche noi ci arrabbiamo se ci sentiamo minacciati (ad esempio, nella nostra autostima). Oppure se percepiamo un’ingiustizia o una frustrazione dei nostri bisogni (come quando ci viene negato qualcosa). Ma cosa rende alcuni individui più insofferenti di altri?
«Chi si arrabbia di più tende a interpretare gli eventi come negativi per se stesso. Per esempio, se temo che gli altri mi manchino di rispetto posso leggere un sorriso come segno di irrisione anche se non vi erano intenzioni provocatorie», spiega Paolo Meazzini, direttore della Psicoterapia training school di Roma e autore del libro L’ira di Achille(Giunti).
«Ciò determina un aumento del livello di attivazione psicofisiologica che predispone all’attacco». Alcuni, però, riescono a controllarsi lo stesso. Perché? Dipende dalla gerarchia degli scopi della persona. «Quando c’è un conflitto fra lo scopo della rabbia (per esempio rispondere a una provocazione) e uno scopo sovraordinato (per esempio mantenere un’immagine di sé di persona pacata) ci si contiene», spiega Olimpia Matarazzo, docente di psicologia generale alla Seconda Università degli studi di Napoli e coautrice del libro La regolazione delle emozioni(Il Mulino).
Se non esprimere la rabbia è una priorità, la si prova anche in modo meno dirompente. «Ma la scelta tra gli scopi avviene in genere in modo inconsapevole per lo stesso meccanismo automatico che a volte ci porta a scegliere un piacere immediato, ignorando le sue conseguenze a lungo termine», precisa Matarazzo. Proprio come si cade in preda alla rabbia anche quando razionalmente si sa che si sta facendo la cosa sbagliata. «Significa che lo scopo più alto, cioè evitare svantaggi futuri, non è stato interiorizzato».
UN MUSCOLO DA ALLENARE. I muscoli, per funzionare bene ed essere potenti, vanno allenati. Per l’autocontrollo è lo stesso: si può rinforzare. Baumeister lo ha verificato con diversi esperimenti chiedendo a volontari di modificare il loro comportamento per due settimane. In alcuni studi, si trattava del loro modo di parlare: dovevano esprimersi in maniera corretta ed evitare forme gergali. In altri, il compito era migliorare la propria postura in piedi e da seduti.
Trascorsi i 15 giorni, l’autocontrollo era aumentato su tutta la linea: i partecipanti erano cioè più resistenti alle frustrazioni e alle tentazioni. Questi risultati lasciano supporre che, esercitandosi, il carattere si rinforzi. «Se si dà alle persone aggressive l’opportunità di migliorare il loro autocontrollo, risultano presto meno impulsive», conferma Thomas Denson, psicologo dell’Università del New South Wales (Australia), anche lui coordinatore di esperimenti affini a quelli di Baumeister.
In una delle sue ricerche, infatti, ha chiesto a un campione di studenti di usare solo la mano non dominante per due settimane: «Per muovere il mouse, mescolare il caffè, aprire le porte: ciò richiede autocontrollo perché va contro il proprio istinto», spiega Denson. Poi, si è messa alla prova la loro aggressività: potevano “punire” una persona che li aveva insultati con un’esplosione di rumore decidendo volume e durata del suono. Chi aveva fatto il training della mano fu molto più clemente.
STRESSATI. Tuttavia, anche se si può rinforzare con l’allenamento, l’autocontrollo risente dello stress. Questo perché funziona come una riserva limitata di energia, che si consuma e che deve essere rigenerata. Così, se la nostra forza di volontà è già stata messa alla prova (ad esempio, dopo un periodo di superlavoro per rispettare una scadenza), diventa difficile restare padroni di sé e non resistere a qualche tentazione.
Lo dimostra anche uno studio della Monmouth University (Usa) su persone sentimentalmente impegnate: coloro a cui era stato vietato dagli sperimentatori di mangiare dei biscotti appena sfornati, subito dopo erano più inclini a flirtare via chat con uno sconosciuto. Dover resistere ai dolci aveva indebolito il loro autocontrollo. Quando le proprie risorse sono esaurite si diventa anche più aggressivi. È stato dimostrato che, dopo una giornata pesante, si è più suscettibili alle critiche del partner e più insofferenti ai suoi difetti: mandarsi al diavolo, in questi casi, è un attimo!
NON ESAGERARE. Eppure non si può, e non si deve, rinunciare del tutto alla spontaneità. Le persone fredde e impassibili perdono ogni naturalezza, con conseguenze, anche in questo caso, sulla loro vita sociale: «Se non si inviano segnali di ciò che si prova, non c’è scambio emotivo e le relazioni ne risentono. Diventa più difficile, per esempio, creare legami di amicizia», dice Meazzini. È vero che molto dipende anche dalla propria cultura (si pensi al famoso aplomb inglese e alla proverbiale riservatezza giapponese), ma in generale l’impenetrabilità tiene lontani gli altri.
E allora, nel caso della rabbia, come va gestita? Dipende. Lo psicologo James Averill del-l’Università del Massachusetts (Usa) ne ha individuati tre tipi. La prima è la rabbia “malevola” che esprime disprezzo o desiderio di vendetta; la seconda è di “sfogo”, scarica una tensione, spesso su chi non ha colpa. C’è poi una rabbia “costruttiva”, quella che fa valere le proprie ragioni, comunica coinvolgimento e rafforza le relazioni (per esempio, se è rivolta a un amico gli fa capire che è importante per noi). Ecco, questa forse è la rabbia giusta, per la quale ogni tanto si può anche perdere il controllo.
RABBIA BUONA. C’è anche un’altra rabbia “positiva”, quella che ci aiuta a reagire e a uscire dai guai. È l’emozione che nell’evoluzione ha aiutato i nostri antenati a difendere se stessi e la prole dalle minacce dell’ambiente e che, a differenza della paura, li spingeva all’attacco e non alla fuga.
È anche la stessa rabbia positiva che nella vita di tutti i giorni ci dà l’energia per abbattere l’ostacolo che ci impedisce di realizzare un bisogno o un desiderio: scatta in noi quando ci sentiamo defraudati di qualcosa, o quando non accettiamo un’ingiustizia. Insomma, senza questa “energia rabbiosa” non avremmo la forza necessaria per affermare i nostri valori e far valere i nostri diritti. Anche, per esempio, nel mondo del lavoro.
SI CHIAMA LIGET. Esiste infatti quell’energia rabbiosa che ci fa perdere le staffe, ma che ci spinge a lavorare di più: è una rabbia associata a un senso di ottimismo e di vitalità. Tra gli ilongot, tribù di cacciatori di teste che vivono nelle giungle della Nueva Vizcaya, nelle Filippine, la chiamano liget. Negli anni Ottanta, l’antropologa americana Michelle Rosaldo la portò alla conoscenza dei lettori occidentali. «Se non fosse per il liget – dicevano gli ilongot a Rosaldo – non avremmo una vita e non lavoreremmo mai».
fonte: www.focus.it